l’ Architettura dell’Informazione è ovunque

Lo scorso Aprile decisi di ospitare mio padre a Cesena con la mia famiglia. Sarebbe stato con noi pochi mesi, il tempo utile a mia madre per ritrovare la sua autonomia. Mio padre aveva il Parkinson e sapevo che non sarebbe stato facile.

Viveva a 600 km da me così impacchettai tutti i suoi oggetti, compreso il necessario per gestire il suo stato di salute, e partimmo per questa avventura.

Erano passati ormai 5 anni da quando gli era stata diagnosticata la malattia e spesso in famiglia si era discusso delle sue difficoltà e di come la sua qualità della vita stesse lentamente deteriorando.

Avevo tutto quello che mi serviva: vestiti, scarpe, medicine più relative ricette, un paccone di referti medici e un foglietto sgualcito scritto a penna con un elenco di farmaci, quantità e orari di somministrazione.

Come un novello boy scout mi sentivo pronto, avrei organizzato tutto. Sarei riuscito facilmente a conciliare: lavoro, cure a mio padre, attenzioni per i miei figli e per la mia mogliettina.
I primi problemi nacquero quando mi resi conto che nonostante avessi tutte le medicine e le istruzioni per somministrarle non mi sentivo sicuro di comprendere il suo stato di salute. Infatti, un mese dopo il suo trasferimento mio padre aveva la bronchite ed era steso in un letto di ospedale.

Perché non mi ero accorto di nulla? Eppure quando i miei figli avevano qualche problema riuscivo a capire subito quello che era meglio fare, perché con lui questa sensibilità non era sufficiente?

Nei mesi successivi, parlai e mi confrontai con molte persone: medici di base, farmacisti, cardiologa, neurologa, fisiatra, pneumologa, urologo, infermieri e medici del pronto soccorso.

Nel tempo riuscii a colmare la mia mancanza di consapevolezza sul suo stato di salute, ma non riuscivo a comprendere perché avevo accumulato un debito così grosso di conoscenza. Probabilmente pensavo che mia madre avesse queste informazioni e fosse in grado gestire il suo stato di salute, ma mi stavo sbagliando e mia madre non era molto più informata di me.

Dove potevamo trovare le informazioni che ci sarebbero servite per comprendere la complessità delle patologie di mio padre?
Chi si occupa di creare spazi di informazione per i pazienti e per i loro familiari?

È ingenuo pensare che i 10/15 minuti di colloquio che il medico specialista dedica al suo paziente possano bastare a preparare lui e i suoi familiari ad affrontare tutte le difficoltà che li aspettano.

Immerso nella gestione di mio padre mi accorsi di un ulteriore problema che adesso mi sembra decisamente evidente: quel foglietto sgualcito che conteneva la lista dei farmaci in realtà era la somma di tante terapie. Alcune di queste iniziate in un tempo lontano, altre più recenti, aggiunte da differenti medici specialisti che avevano seguito quasi esclusivamente una logica additiva delle sostanze da assumere.

Che relazione avevano le terapie tra loro? Che relazione avevano i farmaci tra loro? Come interagivano? Come l’alimentazione influiva sulla terapia e viceversa? Perché quegli orari? Perché quella terapia e non un’altra?

Perché nessuno si occupava di capire se un certa sostanza era ancora valida per lo stato di salute di mio padre?

Alcuni medici che incontrai compresero il disagio che stavo vivendo e lo stato di “abbandono terapeutico” in cui si trovava mio padre, mi aiutarono per quello che poterono. Applicando una visione sistemica riuscirono, con notevoli benefici, a ridurre la lista sul foglietto.

Nonostante avessi accumulato un discreto numero di referti, la terapia rimaste comunque un foglietto con la lista delle medicine. Le informazioni sul perché delle scelte relative alla principio attivo, alla quantità, all’orario e a come i farmaci interagissero con tutto il resto rimasero per sempre nella mente dei medici.

2 commenti, scrivimi

  1. titti Marcinnò

    Un anziano,malato cronico che nel corso della sua vita ha accumulato una serie di malattie e’un po’ come un bambino lo devi seguire nel tempo, affinché tu possa capire la malattia, ma anche la sua sofferenza. La vicinanza ad un malato rende il parente spesso piu consapevole del medico del reale stato clinico del pz. E’vero ed anche giusto che ad un figlio e ad una.moglie venga spiegato il meccanismo ed il perche’ del farmaco che il parente sta assumendo, cosi come e’utile che la.famiglia conosca bene i sintomi l’evoluzione e la prognosi della malattia;ed e’un preciso compito del medico di base o dello specialista farlo. Anzi e’la sinergia fra la famiglia e lo staff medico che segue il pz che rende piu comprensibile,accettabile e affrontabile la malattia. Per il resto e’solo il contatto e la condivisione (per quanto possibile)con il.malato che ti faranno capire ciò che serve a lui per stare meglio. Nella mia esperienza di medico ho conosciuto parenti che già da un espressione del viso del proprio caro riuscivano a capire che c’era qualcosa che non andava,arma che noi medici purtroppo non abbiamo

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  2. Paolo Montevecchi

    Ciao Titti,
    concordo su quello che dici, e penso che i medici di base non debbano essere gli unici attori di un cambiamento necessario. Abbiamo bisogno di ripensare profondamente il sistema sanitario e io ritengo che debbano essere coinvolte professionalità nell’ambito del service design per creare e organizzare ambienti di informazione utili ai pazienti, ai medici e soprattuto ai caregiver. Sono sicuro che i paesi nord europei stanno già lavorando da tempo in questa direzione e ho intenzione di intervistare dei miei contatti che potrebbero raccontarci la loro esperienza.

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